lunedì 16 luglio 2007

La rovyna dell'Italia:

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Vaticano, preti e... SGARBY!!! Se decidesse di utilizzare realmente la sua cultura a beneficio dell'arte contemporanea e della crescita culturale del nostro paese sarebbe un passo avanti per tutti.
Invece adora fare la calza masturbandosi sull'arte del passato! Niente in contrario ma guardiamo anche al presente!!

VADE RETRO SGARBY:
(tratto da exibart):

a mostra sì la mostra no. Già l’argomento – “Arte e omosessualità” - , nell’Italietta senza Pacs, prometteva di fare scintille. Poi, si sa, quando c’è di mezzo Sgarbi non c’è mai da star tranquilli. Ma stavolta perfino il Vittorio nazionale pare aver superato se stesso. E così, dal lunedì al venerdì, fra opere messe all’Indice, divieti ai minori imposti e poi revocati, telefonate in alto loco e decisioni di giunta, si è arrivati con Letizia (Moratti, of course) al paradosso di chiudere una mostra che, in realtà, non era mai stata aperta. Dei cinque giorni che sconvolsero Milano – e le agenzie di stampa - parla adesso il curatore Eugenio Viola, promettendo di dire tutta la verità, nient’altro che la verità…

Allora, Viola, vuol dirci esattamente com’è andata?
La mostra ha avuto sin dall’inizio una gestazione molto travagliata. Il progetto mi fu sottoposto originariamente da Alessandro Riva che mi propose di lavorare insieme ad un progetto di mostra sul tema arte e omosessualità. Amo molto lavorare in tandem, è una metodologia che ho già sperimentato con Lorand Hegyi a Napoli quando era direttore artistico del Pan e al Musée d’Art Moderne di Saint Etienne, dove abbiamo curato insieme la grande retrospettiva di Orlan. Lavorare a quattro mani è sempre un’occasione di confronto, di dialogo, di scambio. Per questo motivo accettai volentieri l’invito, il tema era interessante, avevo già riflettuto autonomamente su un progetto analogo e quindi in tempi stretti presentai un progetto e una lista di artisti. Un percorso per immagini che attraverso cortocircuiti e passaggi fondamentali rintracciava un filo rosso attraverso l’emergenza delle tematiche omoerotiche nel “corpo” dell’arte. A questa lista fu aggiunta una selezione degli artisti coi quali da sempre lavora Alessandro Riva. Il progetto individuava, oltre le convenzionali identità di genere, un filone tematico all’interno di un comune modo di sentire, di esprimere stati d’animo, attitudini, emozioni, senza alcuna pretesa di esaustività o di definire i canoni di uno “specifico omosessuale” nell’arte. Posso affermare con serenità che nel complesso era equilibrato e di qualità.. A seguito delle tristemente note controversie giudiziarie che hanno colpito Riva, mi sono in corso d’opera ritrovato, a inizio giugno, a portare avanti questo progetto da solo, subendo una serie di correttivi. Emblematico il cambio di titolo da me proposto e originariamente accettato: Ecce [H]omo che giocava su un calembour ironico, nel più innocuo e lapidario “Arte e Omosessualità”, fiancheggiato da uno slogan provocatorio, da me non condiviso: “vade retro”, che poi si è trasformato in un monito sinistramente profetico. Nell’ultima fase della realizzazione della mostra, si era ormai alla correzione della bozze del catalogo, è stato direttamente Vittorio Sgarbi ad integrare nella selezione delle opere una serie di artisti più storicizzati e di artisti giovani che appartengono ai linguaggi pittorici da lui da sempre seguiti e strenuamente difesi, buona parte dei quali inseriti anche nella sua mostra sull’Arte Italiana, inaugurata in maniera più placida negli spazi di Palazzo Reale a Milano qualche giorno dopo. I problemi sono iniziati a seguito delle feroci polemiche generate dalla presenza in mostra di Miss Kitty, scultura di Paolo Schmidlin che raffigura un anziano travestito in disarmo le cui fattezze richiamano “pericolosamente” quelle di papa Benedetto XVI, opera di sapore iperrealista e caratterizzata da un tono grottesco (che appartiene da sempre al vocabolario plastico dell’artista, e non esaltato quindi per l’occasione). Un lavoro posto in mostra e preventivamente ritirata il giorno dopo per poi essere acquistata con un autentico “coupe de theatre" da Vittorio Sgarbi. La mostra dopo l’opening non ha mai più aperto… Lo scontro con l’amministrazione, sempre più aspro, ha portato venerdì scorso, dopo una riunione della giunta dai toni infuocati, alla censura di altre nove opere, cosa che ha portato alla cancellazione della mostra da parte dell’assessore messo in minoranza. Contemporaneamente il sottoscritto, congiuntamente agli artisti e all’Arcigay ha organizzato una conferenza stampa nella quale gli artisti simbolicamente per protestare ritiravano le loro opere dalla mostra.

Il suo rapporto con l’assessore Sgarbi è stato improntato ad una piena e totale collaborazione o lei si è sentito, in qualche modo, messo da parte? Ha mai avuto l’impressione di essere emarginato o, peggio, di essere diventato strumentalmente un capro espiatorio di una questione schiettamente politica?
Il rapporto con l’assessore Sgarbi non è stato facile, inutile negarlo. Abbiamo inoltre due visioni dell’arte antitetiche che sono diventate loro malgrado complementari. Non sempre sono stato avvisato di cambiamenti, aggiunte, tagli o integrazioni che venivano apportati al mio progetto originale, al catalogo e conseguentemente alla mostra. Il dialogo è stato quindi frammentario e non sempre chiaro su obiettivi e prospettive della mostra, non ho alcun problema ad ammetterlo. Un’attitudine che è diventata sempre più esplicita e preponderante man mano che si avvicinava l’inaugurazione della mostra… E non è facile, né sempre gratificante, lavorare in queste condizioni. Devo però affermare per onestà intellettuale che non sono mai stato utilizzato in maniera strumentale né eletto ad agnello sacrificale, neanche quando le polemiche sono diventate molto aspre e la battaglia ha assunto toni sempre più schiettamente politici, e questa è una cosa che ho apprezzato.

Sgarbi ha più volte espresso il suo scarso amore per l’arte contemporanea. Perché, allora, si sarebbe buttato in questa rassegna? Forse perché, da abile comunicatore qual è, già prevedeva il putiferio che si sarebbe scatenato?
Quello di Sgarbi è in realtà scarso interesse per quello che riguarda il sistema dell’arte contemporanea tout court. Porta avanti le ragioni di una pittura che reputa essere stata negletta negli ultimi anni e sostiene gli alfieri di una “bella maniera” che si richiama direttamente ai modelli dei grandi maestri del passato. Artisti che lui sostiene strenuamente e spesso in maniera solitaria. Molti sono recuperati dal dimenticatoio, alcuni possono anche essere validi, mentre di altri capisco molto meno le motivazioni estetiche. Per farsi un’idea dei territori percorsi da Vittorio Sgarbi basta visitare la mostra Arte Italiana 1968-2007. Pittura che assurge, oserei dire, a manifesto estetico della visione dell’assessore. Si sapeva che la mostra avrebbe sollevato un putiferio fin dall’inizio, e più volte si è ventilata l’ipotesi che fosse stata una mossa mediatica creata ad hoc per mettere in ridicolo una giunta comunale retriva. Secondo la mia opinione personale, credo sia stata una scintilla cosciente quella appiccata… d’altronde questo è stato più volte dichiarato dall’assessore, autentico maestro della comunicazione mediatica.

A un certo punto, l’impressione era che le polemiche sulla mostra fossero solo un pretesto per uno scontro politico tra sindaco e assessore. È innegabile però che fin dall’inizio la politica abbia ‘impattato’ con la mostra: gli interventi di La Russa e Luxuria sul catalogo lo dimostrano. Questa attenzione è stata sincera o si è trattato, piuttosto, del solito modo per raccattare consensi? E quale e quanto sincera è stata la solidarietà degli esponenti politici dopo la censura?
Effettivamente lo scontro politico c’è stato ed è stato forte. E tutta una serie di scelte hanno favorito questa conclusione tragicomica, emblema di un pasticcio all’italiana, eclissando e contemporaneamente declassando la mostra, e questo non è stato bello né per il mio lavoro, né per quello degli artisti, né per la città di Milano. La decisione di invitare l’onorevole Luxuria e di incoronarla “madrina” dell’evento è stata di Sgarbi, decisione per la quale non sono stato interpellato. Analogamente è avvenuto per Ignazio La Russa, in nome di una supposta, provocatoria nonché inutile par condicio. Se Luxuria poteva, volendo, dare una certa “ecumenicità” alla vicenda, nel caso di La Russa pur sforzandomi non trovo alcun legame con la mostra e il suo intervento non aggiunge nulla ad un catalogo che comunque includeva testi di qualità. Dopo la chiusura della mostra e nella fase più critica dello scontro ho ricevuto solidarietà da alcuni esponenti della sinistra e dell’opposizione, mentre non ho alcun problema a dichiarare la mia indignazione per il fatto che Vladimir Luxuria non abbia speso una parola in difesa delle ragioni della mostra.

Quali erano le altre famose dieci opere entrate nell’“Indice” della Moratti? E cosa risponde ai suoi “censori”?
Bisogna dire che dopo Miss Kitty la Moratti ha innanzitutto imposto il ritiro dalla circolazione del catalogo, e questo è un atto gravissimo, perché una statua esposta si esibisce imponendo la sua presenza anche a coloro la cui sensibilità potrebbe risultarne offesa, ma l’apertura di un libro è un gesto squisitamente privato. È un atto di autonomia individuale e intellettuale il decidere cosa posso o non posso leggere, aprire o non aprire. È inaudito che ci sia qualcuno che decide al tuo posto. Le opere, nove in realtà, sono state tutte bocciate da catalogo. Donna Letizia non si è degnata neanche di visitare una mostra dove “la raffinatezza, il buon gusto e la sensibilità degli omosessuali non affioravano”. Ho scoperto così con estremo stupore che il sindaco di Milano è un esperto di etica ed estetica omosessuale… Sono state purgate le opere che fanno riferimento a temi religiosi o a immagini anche lontanamente pedopornografiche, questa la spiegazione. L’ironia della sorte ha voluto inoltre che la maggior parte di queste opere erano state inserite “last minute” dall’assessore, come il David di Guglielmo Janni e il San Sebastiano di Giovanni Taverna (opere per la cronaca risalenti alla prima metà del secolo e del millennio scorso), cui si sono aggiunti un quadro di John Kirby che raffigura due uomini che si scambiano un bacio (sulla guancia) ma sono ambientati in un ambiente scarno dove spicca un crocefisso alla parete, la Pietà di Paolo Cassarà, la cui unica colpa oltre la blasfemia del nome è quella di raffigurare una donna che stringe tra le braccia una bambola gonfiabile; il Martirio di San Sebastiano di Maurizio Cannavacciuolo, Fratelli d’Italia di Sebastiano Deva, un romantico bacio tra due uomini proiettato sullo sfondo di una bandiera italiana, tagliata presumo per presunto vilipendio della bandiera; un efebo delicato di Aaron Demetz. E restava in vigore il divieto ai minori di 18 anni. In base alla stessa logica la furia censoria si è estesa dall’“arte degenerata” in mostra alle immagini inserite nei minimali del catalogo, vale a dire il San Sebastiano di Antonello da Messina, del Bramante, di Guido Reni, del Sodoma, l’Amore Vincitore di Caravaggio, l’Estasi di Santa Teresa del Bernini! Tutto ciò credo sia espressione di oscurantismo religioso, politico, ideologico, civile, sociale. Basta aprire un qualsiasi manuale di storia dell’arte per vedere che la contaminatio avvenuta tra l’iconografia pagana e quella cristiana nascente è un processo che impregna di sé tutta l’arte occidentale, in una simbiosi osmotica di sacro e profano…

In realtà, c’è chi accusa la mostra, semplicemente, di essere “una brutta mostra”… troppe opere, qualità altalenante e un brutto allestimento…
Di certo il mio progetto originario, per i motivi suddetti, è risultato stravolto, il risultato finale era un ibrido tra la mia visione e quella dell’assessore, e non sempre il dialogo tra le opere è risultato facile e felice. Il mio progetto ha progressivamente perso, mio malgrado, identità, forza e coerenza. Contraddizioni che si riflettevano anche nell’allestimento, pensato originariamente per un numero minore di opere, in uno spazio non facile come Palazzo della Ragione che è risultato alla fine sovraccarico e a tratti caotico. Il risultato finale è risultato così molto, ma molto lontano dalla mia visione e dal mio modus operandi.

Per il futuro ci sono già delle città candidate ad ospitare la mostra. In primis, Napoli. Il soprintendente Nicola Spinosa, però, ha posto delle condizioni…
Stiamo valutando le varie candidature. Tecnicamente siamo al momento in una fase di empasse. La mostra è ancora legata giuridicamente al Comune di Milano, che si ritrova nella situazione paradossale di aver ritirato il patrocinio ad un evento di cui era l’ente ponente, e la giunta comunale dovrà deliberare al riguardo, se come auspico la mostra sarà sdoganata - l’alternativa sarebbe un assai improbabile dietrofront della giunta - avremo la possibilità di esportarla altrove restituita al suo progetto originario, affrontando una tematica che merita il massimo rispetto e una corretta metodologia critica, lontano dal sensazionalismo scandalistico che ha finito per mortificare il lavoro degli artisti e il mio. Spinosa ha offerto Sant’Elmo. Bene. Ho già avuto la possibilità di lavorare con lui l’anno scorso, quando curai con Adriana Rispoli V-I-P. di David LaChapelle al Museo di Capodimonte. Se mi saranno offerte possibilità e garanzie di lavorare serenamente e soprattutto in autonomia, sarò ben lieto di portare nella mia città la mostra, magari riportata al suo titolo originario: Ecce [H]omo, e di dare finalmente un sereno epilogo ad una vicenda che mi ha lasciato con l’amaro in bocca.


anita pepe

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